Chi legge "esamini tutto, ma ritenga solo ciò che è giusto".

La mente non è un vessillo da riempire, ma un fuoco da accendere.

domenica 26 luglio 2009

LA SAPIENZA GIRA PER STRADA. A VITERBO, NEGLI ANNI '70 SI COSTITUÌ UN CERCHIO INIZIATICO...MA NOI CE NE ACCORGEMMO DOPO.



Ho visto il mondo come un insieme. Questo pensiero fu il primo insegnamento che ricevetti dal mio maestro – un tipo umile, analfabeta, grezzo ma sapiente fruttarolo - e anche un concetto antico... e modernissimo nei primi anni Settanta, quando in Italia si affrontavano timidamente le tematiche parapsicologiche, olistiche e noi, imbevuti di nozionismo scolastico e di culturame ideologico, mal comprendevamo le intuizioni illuminanti che ci arrivavano da altrove.
Amici del blog, non tentate di arrivare a scoprire il mistero con la capoccia, sperimentate, provate direttamente a sentire, sentire dentro, per comprendere la verità del Tutto, i suoi collegamenti, i lacci [interrelazioni] tra gli uomini e le cose, tra il mondo e l’universo. Ve lo dico non per fare il maestrino, bensì per non evitarvi perdite di tempo con elucubrazioni mentali, costruzioni intellettuali, che ci lasciano poi con l'amaro in bocca. Ho visto il mondo come un insieme.
Nell’epoca della frammentazione e della atomizzazione della cultura, un umile fruttarolo tendeva alla sintesi con la sua opera e la sua vita, insegnava una visione unitaria della conoscenza, ma non attraverso speculazioni teoretiche – qualcuno potrebbe obiettare che un'analfabeta non avrebbe mai potuto elaborare una tesi siffatta con argomentazioni filosofiche e scientifiche, io credo invece che se anche avesse posseduto la sufficiente attrezzatura culturale non l’avrebbe comunque utilizzata -  bensì tramite l’esperienza diretta, attraverso una estensione della percezione, un affinamento dei sensi, un incantamento della coscienza.
Intorno al maestro si era costituito un piccolo cerchio interno, così lo definiva, di allievi e ci mise tutti di fronte alla difficoltà di compiere il cammino.
“Quelli tra voi che si sentono forti da resistere devono restare e quelli invece che hanno paura e non si sentono saldi e sicuri possono andare. Non costringo nessuno a restare. Questa è un’epoca tanto tremenda che ognuno deve rispondere di se stesso. Non è una vergogna aver paura di fronte ad una tempesta, c’è chi si nasconde al riparo e chi, pazzo forse, l’affronta e cerca di sentire la forza della natura, terribile, inarrestabile. Il ruggito della tempesta scuote gli animi dei più coraggiosi, ma qualcuno l’ascolta ugualmente per unirsi all’energia, quella che spezza i ponti, scoperchia le case, spacca la terra. Qui formo uomini pronti a tutto. Nessuna scappatoia è possibile per chi affronta l’ignoto.”
A volte gli domandavamo come fosse possibile cercare e trovare qualcosa persa da secoli: un fatto accaduto nel medioevo, un improbabile dialogo con un trapassato, ricostruire la storia di una famiglia da un vaso o da una collana vecchi di cinquecento anni.
“Nel mondo niente si perde, né di bene né di male, e presto o tardi lascerà il suo segno.”
Ogni cosa ha la sua vibrazione, la sua frequenza: un’emozione, una passione, un odio o un amore lasciano una traccia indelebile su ogni cosa, su un orologio, un quadro, un auto, una giacca. I morti in battaglia impregnano con vibrazioni di paura e odio per millenni il luogo ove si sono svolti i fatti, e una panchina dove un uomo e una donna si sono amati registra l’onda cosmica dell’amore per sempre. L’inferno, credo, è il tormento, l’angoscia di non amare nessuno e noi del cerchio interno, guidati dal nostro maestro, ne abbiamo avuto sentore in certi luoghi, dentro case ove si respirava il vuoto, il nulla. Da brivido.
“La vita dura il tempo di  un mozzico di pane secco che puoi inzuppare nell’acqua per mangiarlo morbido, se vuoi. Per questo è necessario imparare l’arte del vivere, tra tutte la più difficile. Riempite ogni momento la vita, sapendo che esso non si ripeterà mai più come tale. Trovato il pane, cercate l’acqua prima che diventi duro.”
Eravamo un cerchio eterogeneo, una misticanza secondo il maestro, si andava dai miei tredici anni ai quaranta o sessanta di alcuni. Debbo dire che i problemi che ci angustiavano erano i medesimi, di là dall’età o dall’estrazione sociale o ancora dall’istruzione.
“Quando proverete tristezza nel vostro animo guardate le stelle oppure il cielo di giorno. Quando siete tristi, offesi, sconsolati o sconvolti per un tormento insopportabile, uscite all’aria aperta, abbiamo una splendente campagna qui intorno e fermatevi in solitudine immersi nel cielo, fatelo entrare dentro di voi. Allora la vostra anima troverà la quiete. Guardate le stelle, i fiammiferi che non si spengono mai, ebbene usateli per accendere quella fiammella che ci avete dentro, sì. È più di una preghiera perché non chiedete niente al Padre lassù, stando in mezzo alla natura lo ascoltate e così saprete quello che ha da dirvi, è quanto ci basta e avanza.”
Lui, il mio maestro, tra le altre cose che sapeva fare, guariva alcune malattie imponendo le mani oppure preparando pozioni a base di erbe che cercava lui stesso in giro per campagne e boschi.
“Se ti capita una malaccio puoi star certo che la medicina ti trova.”
Pertanto soleva recarsi in certi posti segreti alla ricerca dei semplici, di certe piante officinali che le coglieva con rispetto e non prima di aver sussurrato una preghiera o delle parole di potenza. In un pomeriggio di ottobre, Lui e tre di noi del cerchio,  stipati nella Cinquecento, ci dirigemmo verso la campagna a nord della città per cercare chissà quale pianta meravigliosa, almeno così credemmo. Giunti vicino al posto segreto scendemmo dall’auto e dopo due chilometri di cammino accidentato a piedi, in mezzo a pantani vari e rovi ci fermammo. Lui ci fece il gesto di star zitti. Si acquattò come un furetto prima di scattare verso la preda, farfugliò alcune parole incomprensibili quando con mossa agile e veloce colse una piantina dalle foglie piccole e tonde. Se la mise nel tascapane di pelle, dal colore indecifrabile e dall’odore impossibile. Tornati al suo negozio, accese il cucinino a due fuochi che teneva nel retrobottega, vi pose una pentolina di coccio e con del pomodoro fresco, basilico, cipolla, olio, sale e l’erbetta appena colta in campagna, ci fece il sughetto, così lo chiamava, per condire la pastasciutta. Magico. Nemmeno don Juan, lo stregone Yaqui di Carlos Castaneda, avrebbe fatto di meglio. Ci guardammo stupiti, ma anche un po’ seccati, tuttavia non avemmo il coraggio di obiettare alcunché. Lui, nel frattempo, con un mestolino di legno girava e rigirava il sugo con amore e soddisfazione, come se fosse la materia prima nella sua fase trasmutatoria rimestata in un crogiuolo alchimistico. Delusi, attendemmo intorno al tavolo accanto al cucinino a gas che il pasto sacro fosse servito. L’odore del sugo comunque era eccezionale, se non altro avremmo mangiato un buon piatto di pastasciutta. Il Nostro tutto contento ci servì a tavola come se fosse uno chef, ci versò da una bottiglia scura del vino bianco nei suoi bicchieri da osteria, un vino frizzantino e fresco. Mangiammo con appetito e lui, come faceva spesso in queste occasioni, ci augurò: - Con salute.
Gli spaghetti così conditi, con una spruzzata di pecorino, erano buonissimi. Poco dopo, avvertimmo una strana euforia, ci sentivamo bene, forse la parola giusta era “pienezza insolita”, totalizzante. Lui ridendo a bocca piena ci disse in faccia, senza scrupolo ne vergogna:
“Se [e]stendiamo le nostre percezioni entriamo dentro un mondo di fianco al nostro, tutto luccicante, forte, [e]stendiamole allora.”
Vidi un boschetto di un verde pulsante, emetteva dei suoni che in un primo momento non compresi, potevano essere casuali o musicali. Il cielo si muoveva, sì, si muoveva come se un vento incredibile lo spostasse, non c’erano nuvole, tutto era luminoso, abbagliante, il sole, già, il sole era strano, lo si poteva fissare senza problemi eppure era fortissimo e inondava tutto, cielo terra piante cose; a proposito delle cose: torri altissime e pinnacoli vertiginosi si ergevano tra foreste verde azzurro e laghi di un blu cobalto. Era un mondo abitato. Trassi questa considerazione perché quelle cose avevano una foggia e una fattura artificiale, o almeno così mi sembrava. Ma io ero presente col corpo o con chissà quale manifestazione della personalità? Vidi il mio corpo, indossavo vestiti comodi di tessuto morbido, una specie di pantalone largo di color rosso con striature marroni, una casacchina fucsia che sembrava appena uscita da quelle boutique piene di capi griffati. Confesso che così conciato ebbi la sgradevole impressione di aver preso di cercone, espressione dialettale per definire un omosessuale. All’inizio mi domandai cosa ci facevo in quel posto, bellissimo ma stranissimo. Sicuramente stavo sognando, ovvio. Eppure i colori, i profumi, le sensazioni erano vivide, se toccavo una roccia blu ciclamino avevo il ritorno di forza, la toccavo veramente. È possibile sognare così, in maniera reale, vera, concreta?
Non era un sogno, perché mi trovavo effettivamente in quel mondo o dimensione o stato o cosa altro non saprei. Perché sono così sicuro? Potete credermi o meno, ma riportai da quel posto una cosa, sì, un oggetto e anche i miei amici aspiranti stregoni tornarono dal viaggio con una prova della loro veridica esperienza…Un  oggetto che avrebbe fatto da password per accedere ad altre dimensioni. Come un anello, una lucerna, un armadio, uno stiletto o altro, cose magiche necessarie per l’eroe ad attingere poteri o penetrare attraverso portali su altri mondi,  almeno così venivano raccontati nei poemi e nei miti di tutti i tempi.
Un codice di accesso per entrare nel palazzo chiuso del Re.

5 commenti:

  1. Esperienza tutt'altro che banale quella da te descritta e provocata da quella specie di erba magica.
    Per di più, di assoluto rilievo e di quelli che si incontrano assai di rado o forse mai il personaggio - lo si potrebbe chiamare 'uno sciamano'- che ti ha avviato alla vita interiore.
    Quegli - a sua volta e visto che non era un ciarlatano - avrà ricevuto l'investitura da qualcuno che l'ha preceduto nella Via.

    Strana e senza dubbio misteriosa catena perpetuatasi in assoluta discrezione in quel di Viterbo o negli immediati paraggi.

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  2. Si, Paolo hai colto perfettamente la cosa. Vi sono correnti iniziatiche non propriamente studiate o rivelate, che rimangono defilate e non fanno proseliti. Lo sciamano come puntualmente lo definisci, persona di nessuna accademia (aveva la licenza elementare) denotava una sottigliezza di pensiero, una conoscenza delle cose del mondo eccezionale. Pensa, elaborava oroscopi sbagliando i calcoli e ci "azzeccava" comunque. Lui diceva che contavano le direzioni cosmiche e una spolverata di intuito. In realtà leggeva nei cuori delle persone e a chi lo prendeva in giro, oppure lo insultava, lasciava fare. Un essere pacifico con se e col mondo. Ringrazio Dio che mi mise sulla strada un amico così. Grazie Paolo, sei acuto come sempre.

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  3. La natura di questo mondo ulteriore da te magistralmente raffigurata all'interno di una narrazione avvincente nella sua sapida freschezza, mi riporta alla mente descrizioni di autori ultrafanici e quadri di artisti visionari.

    L'avventura è anche la dimostrazione che le porte della percezione si aprono ai semplici.

    Grazie per aver condiviso un'esperienza che molti vorrebbbero vivere.

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  4. Sono onorato caro Zret della tua preziosa attenzione, come del resto di Paolo. Ci si sente meno soli a condividere certe esperienze, anche raccontandole si trasmettono insegnamenti che non possono essere patrimonio di pochi fortunati. La conoscenza se trasmessa a tutti, rende i potenti del mondo meno potenti... hai visto mai!

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  5. Solo oggi mi sono imbattuto in questo blog ricercando su internet l'effigie del settimo sigillo pitagorico che io conosco ma che non riesco a reperire da nessuna parte. Ho conosciuto Don Genaro a Napoli, a Via Caracciolo, in un assolato pomeriggio di agosto. Era visibile solo a me e perciò mi è semrato carino condividere la tua esperienza. L'ineffabile bellezza e leggerezza dell'Essere pervade ogni cosa e non appena si perfora il visibile velo di ignoranza che avvolge il nostro essere, il Vento dell'Infinito si presenta alla tua consapevolezza e trasforma la visione del Tutto....dopo di allora niente sarà più come prima.....finalmente il marchio dell'Infinito condizionerà la tua esistenza per sempre...ora non sei solo tu a guardare l'abisso, anche l'abisso ora guarda te e incresperà per sempre l'oceano della tua coscienza...è molto bello quello che ti è accaduto e mi rende felice sapere che non sarai mai più lo stesso di prima....un caro saluto..

    Ermanno

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